Incontro con il C.T. Berruto

Grande successo di pubblico al Centro Culturale Da Vinci di San Donà di Piave, giovedì 4 dicembre 2014, in occasione dell’incontro con Mauro Berruto, Commissario Tecnico della Nazionale Italiana di Pallavolo Maschile, organizzato da l’Assessorato allo Sport del Comune e le Società Sportive Volley Team Club e Elpis Volley. In una sala gremita in ogni ordine di posto, il Commissario Tecnico ha  intrattenuto per circa due ore oltre un centinaio tra atleti, allenatori e dirigenti con riflessioni ed esperienze sul tema “Fare Squadra”.

Uomo di grande cultura, Berruto si è fatto subito apprezzare per l’ampiezza dei suoi contenuti e per una visione allargata del mondo dello sport. Fin dalle prime battute ha voluto sottolineare il valore dell’attività sportiva nella vita delle persone e nella società, evidenziandone l’importanza in termini di investimento sul futuro del nostro Paese. Investimento che può essere letto da due punti di vista: economico da un lato, emozionale dall’altro.

Quello economico si fonda su una certezza che ci dà la demografia: il Paese sta invecchiando e nel 2050 quasi il 50% della popolazione avrà più di sessant’anni. Intuitivamente la richiesta di salute che si avrà nel sistema sanitario nazionale sarà molto più importante di oggi, portando ad un innalzamento della spesa pubblica. Dato confortante ci arriva però dalla scienza, la quale prova che la pratica regolare dello sport riduce del 30% il rischio di malattie cardiovascolari ed altre quali obesità e diabete. Ma per assecondare la scienza serve un balzo culturale in avanti, nel senso di cultura sportiva. Se è vero, infatti, che su questi argomenti e su altri quali lo “sport come strumento di integrazione” siamo sempre tutti d’accordo, accade poi che lo sport sparisce dalle nostre vite e soprattutto dalle scuole elementari (posto essenziale dove i nostri bambini dovrebbero imparare ad appassionarsi all’arte, alla letteratura, alla matematica, allo sport…).

E’ a questo punto che il ragionamento di  Berruto inizia ad abbracciare la prospettiva emozionale dello sport come investimento. Il Commissario Tecnico illumina la platea con un parallelismo tra il capolavoro nell’arte e quello nello sport. Ci sono capolavori artistici che sono facilmente leggibili. Si tratta di capolavori che parlano un linguaggio universale a chiunque si trovi davanti (indipendentemente dall’età, sesso, cultura, provenienza, etc.), che si legge nella luce degli occhi di chi lo sta guardando. Altri sono più difficili da interpretare e hanno bisogno di una storia, come quella di Yves Klein, pittore Francese del ‘900 che ha dedicato la sua vita alla ricerca del colore blu che rappresentasse la sua espressione di infinito e di assoluto. Il suo capolavoro è una tela monocromatica che per essere letta e interpretata ha bisogno di un altro punto di vista, quello della sua storia.

Anche lo sport racconta delle storie altrettanto belle e dei capolavori che possono essere letti nella stessa maniera: uno lo ha fatto il ginnasta Italiano Yuri Chechi alle Olimpiadi di Atlanta ‘96. Anche lui ha una storia da raccontare. Infatti, in vista delle olimpiadi di Barcellona del ‘92 Yuri era considerato strafavorito da chiunque, anche dai suoi avversari. Successe, però, che un infortunio poco prima delle gare lo mise fuorigioco. Fu allora che Yuri non si focalizzò sui problemi ma sulle opportunità: con le stampelle, andò ugualmente alle Olimpiadi ma nelle vesti di commentatore e telecronista, imparando un nuovo mestiere. Successivamente iniziò la fase di riabilitazione e di duri allenamenti. Otto anni dopo la sua ultima gara olimpica, si presentò alle Olimpiadi di Atlanta ‘96. In tale occasione fu l’ultimo ad esibirsi e tutti i suoi avversari avevano totalizzato punteggi stratosferici, esercizi quasi perfetti. Lui sapeva che in quei 40 secondi avrebbe dovuto dipingere il suo capolavoro… e così fu.

Klein e Chechi, continua Berruto, ci insegnano che c’è un muscolo necessario per realizzare un capolavoro, ed è il cuore. Un muscolo che si può allenare e che allena la passione con cui facciamo le cose.

Ecco dunque che il CT indica nelle capacità tecniche (necessarie ma non sufficienti) e in quelle emozionali (allenabili) gli elementi fondanti per puntare all’eccellenza umana in ogni settore, compreso quello sportivo. Ma queste due capacità da sole non bastano perché vanno rapportate ad una terza componente fondamentale: il metodo.

Più il metodo è semplice più grande sarà il valore dell’eccellenza raggiunta. Per Berruto il metodo si riassume in una parola: l’atteggiamento.

In questo caso, l’esempio a supporto della sua teoria è la storia di Gabriela Andersen-Schiess, maratoneta Svizzera che partecipò alla prima maratona femminile delle Olimpiadi di Los Angeles 1984.

Gabriela, durante la gara, inizió a sentirsi male a causa di un colpo di calore e una volta entrata nello stadio percorse l’ultimo giro in 5 minuti e 44 secondi. La sua corsa era caratterizzata da un gesto atletico brutto e scoordinato. In questo caso non c’era sicuramente l’armonia e l’eleganza come nel gesto atletico di Yuri Chechi, ma c’era solo una immensa forza di volontà, che non controllava più il corpo ma che fu  indispensabile per portare a termine quell’ultimo straziante giro. Anche quello fu un capolavoro, non per vincere una medaglia, ma per giungere 37ª, per concludere i metri che mancavano al traguardo e arrivare alla fine di quella straordinaria impresa.

Il CT ripercorre le tappe della sua carriera da allenatore fin qui, ricordando come lo sport sia in grado di far vivere intense emozioni, belle e brutte, e che le vere storie sono fatte anche di sconfitte. E’ quando perdi che capisci l’importanza dell’analisi del lavoro fatto e di ciò che non ha funzionato per puntare al miglioramento.

Nello sport come nella vita solo la squadra fa la differenza. Un team maturo e consapevole permette di raggiungere determinati risultati ed ottenere dei successi. I giocatori che ne fanno parte crescono come atleti e come individui quando consapevolmente decidono di subordinare loro stessi allo sforzo di gruppo, animati da altruismo come forza trainante.

La squadra è più importante dei singoli e dell’allenatore, è un organismo in cui gli organi sono tutti vitali e in relazione diretta gli uni con gli altri. Lo stesso vale per tutto lo staff, una squadra nella squadra.

Una squadra dotata di mentalità vincente non è quella che fa incetta di vittorie ma piuttosto quella che ambisce sempre al confronto con avversari più forti di sé.

Berruto si rivolge direttamente agli atleti presenti tra il pubblico, invitandoli ad essere continuamente ispirati, provando tecniche e soluzioni nuove senza paura, e ricordando loro che non è mai troppo tardi per riuscire. Alla base deve esserci sempre un atteggiamento combattivo e costanza nell’allenare i punti di forza.

Agli allenatori consiglia di essere sempre in grado di leggere le diverse situazioni, senza adottare un metodo unico. Possono andar bene anche poche idee ma che siano chiare e che si utilizzi un linguaggio comune. Cambiare il punto di osservazione può spesso aiutare a cogliere delle particolarità altrimenti inosservate e avere interessanti spunti di riflessione.

Michele Spera

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